GOLA
Emilio Gola (1851-1923) fra '800 e '900 si affermò
come uno dei maggiori post-impressionisti italiani
maturando la propria scrittura poetica nell'alveo del
Naturalismo lombardo in cui seppe coniugare la
sua profonda cultura e la straordinaria vena
pittorica. Di lui si può senza dubbio dire sia stato il primo
“moderno” della terra lombarda. Le sue pennellate
larghe e già materiche e lo studio della “macchia”
nonché del chiaroscuro hanno in seguito improntato il
mestiere di altri pittori che con lui o i suoi quadri
ebbero direttamente a che fare.
CARPI
Aldo Carpi (1886-1973) fu sfollato a Mondonico durante i primi
anni della seconda guerra mondiale. Qui frequentò il
Buttero benché Gola fosse ormai scomparso da
vent'anni e restò affascinato dal suo lavoro nonché dal
paesaggio che tanti seguaci di Gola avevano raccontato. Proprio fra queste colline, a
Mondonico, fu arrestato dalla polizia fascista
nel gennaio 1944. Prima a Mauthausen e poi a Gusen,
Carpi riuscì a rischio della vita a comporre le sue
memorie, edite in seguito con il titolo di Diario di
Gusen.
MORLOTTI
Fra gli studenti di Carpi, direttore di Brera, diventati “grandi” ci fu Ennio Morlotti (1910-1992) che considerò Carpi suo maestro di vita. Non si può costringere il terzo degli artisti rappresentati, Morlotti appunto, a vestire i panni della lezione goliana. Affatto. La forma (o meglio non-forma) che il paesaggio di questo angolo di Brianza assunse in lui è quanto di più lontano ci sia dal Naturalismo, ma da lì ha preso le mosse. Così le Adda burrascose di materia che il lecchese dipinse negli anni '50 nascono, almeno concettualmente, come lettura e rifiuto del Valloncello di Mondonico.
Appunti su tre storie della pittura lombarda
di Anna Caterina Bellati
Ci sono luoghi provvisti di una tale bellezza da parlare agli sguardi più aperti.
Mondonico è stato uno di questi.
Il Naturalismo lombardo inizia con Emilio Gola. L’artista di Olgiate ha descritto con passione costante ogni mutamento di luce, ogni stagione, ogni fiato di vento di un posto preciso, Mondonico, frazione rurale fra le colline della Brianza. E in quel suo mescolare alla natura scene di vita quotidiana si coglie la consapevolezza di dover salvare, almeno in forma visiva, un territorio sereno, bellissimo e allora incontaminato.
Grazie alla costante attenzione del conte-pittore, Mondonico è diventato uno dei luoghi celebri della nostra pittura, un santuario di campagna dove molti artisti si sono recati cercando rifugio e una propria identità coloristica. Così hanno fatto, in tempi diversi, anche Aldo Carpi e Ennio Morlotti.
La seduzione della bellezza.
Emilio Gola nasce a Milano, a Olgiate c’era la casa di campagna della sua famiglia ma è difficile dire se si sentisse a casa lungo i Navigli, un soggetto molto amato e iterato tante volte, oppure preferisse immergersi, quasi dimentico di sé, fra gli alberi cedui del Valloncello.
Durante i suoi lunghi soggiorni al “Buttero”, Mondonico è una meta quasi quotidiana. La freschezza intatta del paesaggio diventa incantamento, ogni volta c’è qualcosa di nuovo da leggere nelle pieghe cangianti della natura.
Il conte lavora con estrema serietà su temi ricorrenti, come il Valloncello, il Cipresso di Villa Gola, la campagna coltivata all’intorno, penso a Nel prato o Località Tre monti e poi al Giardino del Buttero declinato in numerose versioni.
Proprio a Mondonico prende in affitto due stanze dell’amico Silvio Sala, il “bel vecchio” di cui scriverà in seguito Carpi nel Diario di Gusen. Avere uno studio a due passi dal torrente Molgora è uno stimolo continuo a studiare e capire, per prova ed errore, come ottenere un certo verde vibrante, o fermare un filamento di nuvola nel cielo terso dell’estate.
Mai come in questi soggiorni quotidiani e del tutto privati, viene a galla il suo panteismo, questo testimoniano le lavandaie e contadine così imbibite della luce attorno, da diventare elementi del paesaggio.
Nell’introduzione al catalogo della mostra a Palazzo Reale a Milano, nel 1989, scriveva Raffaele De Grada, mio amato maestro, Mondonico è la località della Brianza dove Gola in tutta libertà da insegnamenti accademici aveva iniziato il suo lungo amore per la pittura accogliendo fin dai suoi primi passi la tradizione della “vibrazione luminosa” che veniva “per li rami” dal Piccio, dall’esaltazione cromatica che aveva rotto i contorni del disegno e da Tranquillo Cremona che aveva fuso le forme con lo sfondo offrendo all’immagine il tremolante mistero dell’apparizione.
Da ragazzo il padre lo aveva portato in giro per l’Europa, numerose volte a Parigi e poi Londra, l’Olanda. Il giovane Emilio è un viaggiatore vorace e curioso. Sono gli anni tra il 1868 e il 1890. La società sta cambiando, si sgretolano i vecchi imperi, nascono gli Stati nazionali, la borghesia accumula ricchezze, la nobiltà si ritira nel ricordo dei fasti passati, crescono le fabbriche, le montagne restano sole, perché i loro abitanti scendono al piano. La rivoluzione dei trasporti avvicina le grandi città, ci sono le prime auto, i primi tratti di ferrovia. Si pubblicano più libri e aumenta il numero dei lettori, si stampano i primi giornali. Il giovane Emilio ha quasi la febbre, visita musei, va a teatro, si imbatte negli impressionisti, ma non ne apprezza la rivoluzionaria maniera di stendere il colore per macchie, mentre nel Regno Unito scopre Turner e Constable e ne conserverà la lacerazione del cielo fino alla vecchiaia, quando troverà il coraggio, ad Alassio e quindi a Venezia, di intraprendere una nuova strada, più libera, più tesa alla vibrazione della materia pittorica. Uscito dalle mani del De Albertis al quale era stato affidato e che gli aveva insegnato a impaginare i ritratti in forma un po’ legnosa e superata, è in Brianza che Gola comincerà a mettersi alla prova e a sostituire il rapporto tonale al chiaroscuro. Il risultato è che il soggetto dipinto si illumina dall’interno, quasi il sole si trovasse dietro la tela.