IL VUOTO E LE FORME giunge quest’anno alla sua quarta edizione. La Biennale d’Arti Visive di Chiavenna porta nel 2014 il titolo Venice, mon amour.  Chi scrive lavora a Venezia ormai da un decennio e ha pensato a un gemellaggio ideale tra la città più bella del mondo e la piccola città dove è nata, Chiavenna appunto. Perché questa mostra di laguna trasferita a ridosso delle montagne? I motivi sono di natura emozionale e culturale. Innanzitutto Venezia è un topos, un’immagine mentale che ciascuno fin da bambino ha sedimentata nella propria coscienza. Si tratta di un luogo nel quale si vorrebbe andare almeno una volta nella vita, un posto del sogno fermo nel tempo, simbolo della malinconia, dell’innamoramento, della bellezza. Un sito culturale che da secoli è anche assurto a segno principe dell’arte, non solo per le sue Biennali, di Arti Visive e di Architettura, ma perché da sempre è stato punto di approdo di tantissimi artisti di fama internazionale. Il vero motivo ad attrarre a Venezia chi fa arte non è la singolare struggente meraviglia della città, ma la sua luce. Una parte di questa luce, reinterpretata dai pittori e scultori chiamati per questa occasione, farà dunque mostra di sé a Palazzo Pretorio, Palazzo Pestalozzi, nella Chiesa dei Cappuccini e in Piazza Bertacchi. Come simbolo dell’evento sono stati scelti il campanile di San Lorenzo, iniziato il 5 giugno 1597 e terminato nel 1603 a sostituire la torre del XII secolo; e il pettine o ferro di prua (in veneziano fero da próva o dolfin) che ha lo scopo di proteggere la prua da eventuali collisioni. La sua forma rammenta i sei sestieri di Venezia, i denti rivolti in avanti, mentre la Giudecca è il dente rivolto all’indietro. A sua volta l’archetto sopra il dente più alto del pettine rappresenta il Ponte di Rialto, mentre la “S” che parte dalla cima per arrivare alla fine del ferro, simboleggia il Canal Grande.

Dunque dieci artisti all’ombra della collegiata di San Lorenzo fondata intorno al V secolo, divenuta pieve nel 1042 e basilica nel 1098, per dire la Venezia di oggi e di sempre. 

A Palazzo Pestalozzi si possono ammirare le opere di Donato Frisia jr. Come nelle altre edizioni l’evento globale contiene la personale di un artista per età e curriculum entrato di fatto nella Storia della Pittura. Venti tele che raccontano umori, odori, toni, luci, nebbie, giorni di sole, mareggiate, gite fuori porta a San Pietro in Volta e Pellestrina. Un viaggio guidato nei gioielli della laguna, nei ristoranti segreti, nelle gondole in attesa, nei lampioni sotto i quali si baciano gli amanti. All’entrata di Palazzo Pretorio il nostro omaggio a Franco Batacchi scomparso nel 2012. Del grande artista, veneziano d’adozione essendo nato a Treviso, proponiamo cinque lavori storici già apparsi in numerose mostre. La sua donna-Venere questa volta impersona la perla dell’Adriatico narrata attraverso una tavolozza che si muove nella gamma dei grigi, dei verdi e dei gialli bagnati dalla luce, le brume mattinali o serotine e l’acqua densa dei canali. Nella medesima sala dalle volte affrescate di Palazzo Pretorio proponiamo le straordinarie terrecotte di Marco Cornini, uno degli scultori più apprezzati del Paese. La sua fanciulla si destreggia con passo sicuro nella folla colorata dei turisti, mentre una donna dal corpo perfetto prende il sole sulla spiaggia di Lido e una terza figura femminile incuriosisce fin dal titolo, Quando c’eri tu. Chi dei due amanti è dovuto partire abbandonando l’altro nella stanza in penombra dove risuona lo sciabordio dell’acqua? Nella seconda sala di Palazzo Pretorio, Tobia Ravà espone i suoi lavori numerici. Le cifre arabe si piegano allargano allungano, si mettono in fila e ammonticchiano fino a costruire il mondo. L’algebra è lo strumento per misurare la vita e il suo dispiegarsi ma anche il meccanismo perfetto per renderla visibile. E dai numeri nascono scorci veneziani scaldati dal sole o azzurrati dal cielo perfetto di un pomeriggio di maggio; oltre a due bronzi che riprendono i simboli della Serenissima, il Leone e uno dei quattro Cavalli di San Marco.










Nella piccola prigione, quasi un piombo veneziano, Mauro Benatti appende le sue delicatissime Meduse in tela metallica bruciata e ossidata, ninfe fluttuanti nel buio, messe a fuoco da una luce potente irradiata dal pavimento di pietra. Queste misteriose creature, che trovano rifugio in laguna dopo una forte mareggiata, sottolineano la precarietà dell’essere. Lo scultore di Brivio allestisce anche la Sirena di San Servolo e i suoi giochi d’acqua in Piazza Bertacchi. Dove c’è mare ci sono leggende e donne immaginarie nei sogni dei naviganti. Sulla spiaggia di Lido all’alba arrivano centinaia di gabbiani, volano bassi nell’onda e si fermano a riposare sulla battigia. Alberto Salvetti parla di questi animali con diciassette sculture assiepate una accanto all’altra nella terza sala di Palazzo Pretorio. Ma la sua installazione non è un inno alla libertà, semmai addita la distruzione continua che l’uomo impone alla natura. Questi pennuti sono macchiati di petrolio, la loro anima è ferita dalla mediocre superficialità umana e dalla falsa credenza che a noi tocchi possedere la terra. C’è qualcosa di Venezia che si coglie solo attraverso una lunga frequentazione, l’assenza di vento. In certi giorni rarefatti e caldi nei quali gli orologi si fermano, non tira un fiato d’aria. Per raccontare questo fatto che rende immobili le case, gli oggetti e forse anche i pensieri, abbiamo invitato Marco Martelli, noto pittore dell’iperrealismo, a esporre segrete fotografie di solito proscenio alla preparazione dei quadri. Vetri e strisce di carta s’innalzano nel blu assoluto e restano bloccati in guisa di sculture. Tutto tace, almeno fino a domani. Nell’ultima sala di Palazzo Pretorio abitano i Gufi di Damiano Casalini. Sembrerebbero degli infiltrati, ma… Nel 2008 il pittore torinese frequenta l’Accademia di Belle Arti di Venezia dove si diploma in Incisione. Gli animali del suo Bestiario tuttavia sono a disagio per il trasferimento in laguna. Ne nascono piccole sculture ironiche come l’Intellettuale o il Professorone e dipinti in cui i gufi si destreggiano tra bricole, vaporetti e gondole. Il delizioso panegirico dice le difficoltà di conquista di un’Isola misteriosa. Siamo nella Chiesa dei Cappuccini che offre luce bianca, spazi alti e densi di storia. Qui Dania Zanotto costruisce un palcoscenico abitato da figure in simulacro di cui restano solo le vesti sontuose. La scultrice e performer trevigiana porta sotto le antiche volte installazioni museali e una collezione di vesti indossabili che narrano Venezia, i suoi traffici di stoffe e pietre, gli scambi con l’oriente, le spezie, gli ori, le perle. E piano dalle antiche strade che dal Bosforo conducevano nel cuore del Mare Nostrum arriva fin qui l’odore di un’epoca strabiliante. A questi lavori fa da contrappunto il duplice intervento di Antonio Abbatepaolo. Lo scultore pugliese allestisce nell’abside la sua Balena, uno scheletro perfetto di cetaceo costruito con lo stesso legno impiegato per realizzare l’anima delle navi. Questo animale magico immortala il tema della grandezza negli abissi. Gli fa da contrappunto una Gondola al naturale realizzata con i medesimi materiali. A dire due luoghi mentali irrinunciabili della laguna, l’immenso e il romantico, la profondità e la calma.

Anna Caterina Bellati  

Tra Venezia e Chiavenna, marzo 2014     

Bellati Editore 2014