INAUGURAZIONE

Sabato 7 giugno ore 17.00


Venezia

Scoletta della Bragora

Campo Bandiera e Moro


dall' 8 giugno al 6 luglio 

Chiuso il lunedì

Ingresso libero


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Ma c’è un cuore che batte nel centro dell’universo umano. Antonio Abbatepaolo, scultore di Polignano a Mare, porta nell’evento un grande cuore di legno costruito intagliando a mano la materia sezionata con pazienza. Nella luce abbassata del mezzanino, la sua scultura risplende dall’interno e i diversi segmenti che la compongono rivelano un nucleo rosso. Quel grumo immaginario di sangue richiama allo sguardo l’unica via d’uscita possibile. Solo attraverso la carità, la cultura, la diversità, la comprensione non passiva dell’altro, avremo modo di conquistare la libertà, privata e corale.




Marco Cornini sublima la bellezza femminile con sculture in terrecotte quasi di carne. Le sue fanciulle o le sue donne nel fiore dell’età godono della propria avvenenza e guardano ciò che le circonda con la leggerezza  di avere in mano la vita che hanno davanti. Stese al sole sulla spiaggia in una mattinata segreta di assoluta radiosità, o occupate ad attraversare una folla di turisti con la propria camminata sicura e ancora in riposo nell’ombra di una stanza, testimoniano l’ardore e il coraggio dei progetti che attraversano il loro cuore.




Alle visioni oniriche del milanese si contrappone l’indagine interiore di Marco Martelli. Il fiorentino impiega il paesaggio per indagare stati d’animo differenti. In questo caso i dipinti esposti ragionano sull’idea di una terra lontana, forse un’isola, sogguardata a distanza con in mezzo un mare piatto e vergato da milioni di luci. Ma il luogo di osservazione è doloroso e sfiancato dall’assenza, come testimoniano rami nudi a incorniciare il desiderio di una partenza. La bellezza è lontana e forse irraggiungibile.



Parrebbe impossibile, ma nel nostro tempo esiste ancora la schiavitù. Ha assunto forme più striscianti rispetto allo stereotipo del nero in catene impiegato nei campi di cotone, ma i risultati sull’individuo sono in ogni caso devastanti. Alberto Salvetti affronta il problema con una performance durissima. Nudo, coperto di pittura bianca, gli occhi cerchiati di nero trascorre un numero impressionante di ore dentro una gabbia senza cibo né acqua. Si mette in vendita, uomo bianco che si sottoporrà ai voleri del padrone. A testimonianza restano in mostra due sculture in terracotta. Il grido silenzioso di chi non accetta la falsa libera democrazia della nostra civiltà.



Alessandro Spadari propone i suoi paesaggi metafisici sospesi tra ricordo e segno, ricerca dell’armonia e bisogno di calma pur conservando tracce di malinconica tristezza. Il colore steso con velature orizzontali trasparenti e luminose è in un secondo tempo schermato da sgocciolature verticali. Così l’osservatore ha l’impressione di guardare lo svolgersi della vita dai vetri di una grande finestra, mentre fuori piove.





I Cervelli in bronzo che Marialuisa Tadei colloca su un tavolo conservandoli in singole teche riempite d’olio, chiamano in causa l’uomo nel suo centro multimediale, quello dove hanno luogo pensieri, idee, emozioni, scelte, sentimenti. L’io penso dunque sono cartesiano assume qui la valenza prepotente dell’esserci su una terra traversata da guerre e disperazioni, speranze di liberazione e ideologie indebolite dal principio di realtà. Chi può decidere se un uomo sia tale a causa della propria razza d’appartenenza, del proprio cuore o delle proprie inquietudini? La ragione soltanto sa operare un distinguo e la saggezza farà il resto.



Metropolitana e attenta ai malesseri di una megalopoli, New York, Fulvia Zambon si muove fra architetture stese verso il cielo e personaggi minacciati da stravolgimenti naturali in grado di mutare l’assetto geografico, politico e morale della terra. In metafora l’allerta per attentati, maremoti, terremoti, o quant’altro possa distruggere ciò che l’uomo ha costruito, rimanda al tormento che molti provano per un’esistenza consumata  nella povertà spirituale della società in cui ci tocca vivere.




Dania Zanotto è una persona dolcissima e i suoi lavori le somigliano. Nella propria fragilità ha trovato la forza di realizzare sculture imponenti e intrise di segreti millenari. Il terreno sul quale opera è quello della religiosità del creato. Poco importa dove gli uomini siano nati e come siano stati educati. Ciascuno di loro possiede con chiarezza le idee innate del bene e del male. Le vesti della scultrice-performer trevigiana sono imbibite della tenerezza che solo gli dei di qualunque epoca hanno dispensato ai loro figli. Si ammirano guardando in alto, questi lavori delicati e solenni, perché le preghiere volano verso l’infinito.