PERCORSO ANIMALE

 

Alberto Salvetti colloca a Piazza Bertacchi un Cinghiale, un Cervo e un Capriolo in fieno, ferro e cemento, materie base dell’architettura antica. Tre razze che vivono in valle protette. Mentre nei giardini di Palazzo Vertemate lo scultore veneto ci sorprende ambientandovi un Orso gigantesco fabbricato con carta, silicone, colle e un branco di Lupi di passaggio nel frutteto. Riavvistati di recente nei boschi del circondario, questi animali inquietano e affascinano, dicendo con la propria presenza che la natura si sta riprendendo la montagna. Nella veranda fronte parco, davanti ai castagni in rigoglio, ecco piccoli interventi in terracotta, la Raganella, un Pesce in guaina plastica e i rappresentanti della Razza Emoticoniana che tengono compagnia ai delicati dipinti e alle chine di Damiano Casalini. Il pittore torinese espone alcuni personaggi del suo bestiario metaforico suddiviso in Buoni e Cattivi. Della schiera negativa fanno parte rapaci tra aquila e condor con rostri aguzzi e sguardi voraci, immobili per ore, pronti a ghermire la preda. In quella positiva rientrano il gufo, in allerta contro i pericoli notturni; l’elefantino che porta fortuna; il cinghiale, pronto a difendere gli amici; il maialino, affettuoso e di compagnia; l’asinello, bestiola di grande tenerezza. Nel corridoio d’entrata e nelle sale a piano terra del palazzo sono ospitati due scultrici e un pittore. Donato Frisia jr presenta dipinti di anni addietro con Mucche al pascolo in Val Longa, cavalli e cani. La sua pittura serena e sicura, ricca di luci profonde e velature piene di armonia, viene diritta dal Naturalismo Lombardo, di cui il meratese è l’ultimo insigne esponente. Pastosi e solari, i suoi colori dicono di una vita rurale e quotidiana che i nativi di qui ben conoscono e che andrebbe custodita con cura. Marialuisa Tadei conia per la mostra un maestoso cigno in alabastro che ben si addice alla sua ricerca sulla purezza, contrapposta alla aducità della vita. Prodotto a Volterra, è volato sin dentro il Vertemate con la sinuosa eleganza di un animale molto citato sia nella storia dell’arte che nella mitologia. Si pensi al Lago dei Cigni, uno dei balletti più acclamati dalla metà dell’Ottocento, musicato da Pëtr Il’ic Čajkovskij; o alla leggenda di Leda e il Cigno, secondo cui la giovane regina di Sparta fu amata da Zeus che assunse le vesti del candido volatile per poterla avere.    Sara Teresano, fine scultrice di educazione classica, esibisce la sua Nottola di Minerva oltre a due lavori in alabastro dedicati al regno animale minimo. A partire da Omero, l’epiteto più noto attribuito ad Atena è glaukopis, che significa con lo sguardo azzurro scintillante. Il vocabolo deriva dalla combinazione di glaukos “lucente” e ops “occhio”. Glauxcivetta, o nottola ha la medesima radice. Di qui l’abbinamento tra la dea e l’animale notturno dai grandi occhi chiari. Fanno da contrappunto a queste creature, i Coccodrilli bronzei di Tobia Ravà. Acquattati nel cortile d’ingresso, sembrano difendere la villa. 

Nella Sala del camino di Palazzo Pestalozzi ci attendono invece rane e stambecchigatti e pappagallipesci e galline. Questi lavori coloratissimi e divertenti, sono tappezzati di numeri. Ravà decora i propri soggetti seguendo le regole della ghematria, il sistema di umerologia ebraico alla base della Cabala che assegna specifici valori matematici ai vocaboli scritti. Tale combinazione permette di correlare parole o frasi intere aventi medesimo rapporto numerico ed è estendibile a qualunque manifestazione del mondo, si tratti di oggetti inanimati o di esseri animati. I numeri che compongono l’immagine si susseguono secondo percorsi costituenti un discorso segnico, come accade a esempio per il n. 18, più volte ripetuto in ciascuno dei pezzi in mostra, cui corrisponde il vocabolo ebraico Chai che significa, appunto, vivente. Nella Stüa del Pestalozzi si possono ammirare i lavori di Anna Lorenzini. La tavolozza abbisogna di pochi colori, il nero, il bianco e una gamma di grigi che travasano pensieri, ricordi, domande senza risposta, dal buio della perdita fin dentro la luce del presente. Sono cervi reali, carpe,animali da cortile che tornano in sogno nella mente di bimbi e fanciulle. Un viaggio a due sensi di marcia, dunque si può dalla vita reale regredire alla vita immaginata e viceversa. Nella sala principale e lungo i corridoi di Palazzo Pretorio si confrontano le opere di pittori e scultori.



Ettore Greco porta in città una straordinaria Apocalisse con cui argomenta il tema della razza umana alle prese con la propria coscienza in bilico sul crinale che separa la vita dalla morte. Lo scultore di Padova aggroviglia uomini e cavalli spinti dal proprio destino a fuggire verticalmente verso l’ignoto. Gambe e zampe, braccia e criniere, si mescolano nel terrore del giudizio imminente. Dialogano, con questo pezzo imponente, i lavori sapienti di David Dalla Venezia. Dipinti ricchi di contrasti luministici dove la forma si scioglie in evocazione misteriosa. A Chiavenna il pittore italo-francese conduce cavallidinosauri, un cervo e un elefante collocati sulla morbidezza di fondi scuri che richiamano la grande pittura rinascimentale. Sospeso tra natura morta e pensiero metafisico, il bestiario di Dalla Venezia sbuca silenzioso dalla tela e addita la caducità dell’esistente. Elena Mutinelli con la raffinatezza consapevole che le è propria sceglie per la mostra di rappresentare uno dei felini più selvatici e temuti, la tigre. Declinata in terracotta e su         carta, la figlia dell’Asia e della Russia Orientale si presenta al pubblico nella sua fiera e indomita armonia. Animale a rischio, ne sono scomparse milioni dall’inizio del Novecento, oggi le tigri vanno difese a ogni costo dalla mano dell’uomo che da sempre ne fa scempio. Anche Silvano Scolari esibisce qui le sue balenescimmieghepardi e altre meraviglie, che si presentano all’ingresso e continuano nei corridoi delle antiche prigioni. Studiati nel dettaglio, quasi l’artista emiliano fosse un ricercatore dell’Ottocento, questi animali hanno tuttavia addosso la consapevolezza dell’uomo contemporaneo che si misura con la loro stupefacente bellezza e la necessità di impedirne l’estinzione. I loro occhi scavano nella pancia dell’osservatore che sa bene quanto dolore la razza umana abbia provocato e provocherà. Passando al secondo ambiente, ecco la Manta evocativa di Dania Zanotto. La scultrice e performer di Treviso rivisita quest’animale affascinante che solca mari e oceani temperati, ricostruendone il corpo a forma di disco piatto romboidale con velluti, pelliccia riciclata, bitume, vernici, cera, ferro, sabbia. Quasi trasformato in un simulacro divino, il mastodonte di Zanotto allarga le sue pinne cefaliche occupando lo spazio con prepotenza e dice allo spettatore di abissi lontani, in parte ancora segreti all’occhio         umano. Seguono gli scatti di Marco Bolognesi dedicati a personaggi-simbolo tratti dall’Orlando Furioso. In bilico tra mito e mutanti del futuro prossimo, queste figure di un bianco gessoso bucano il nero del fondale recando sul proprio corpo il segno di quello         che è loro accaduto o forse accadrà. Polpi marini sostituiscono le braccia del bimbo appoggiato sulla testa di Medoro che a sua volta ha inglobato l’amata Angelica, preziosi abiti compresi. Il crudele Rodomonte ha teste di coccodrillo che fuoriescono dagli arti superiori, mentre piume di pavone gli ornano le spalle. E Agramante è avvolto tra le spire di molti aspidi, pur ospitando nel ventre una testa di leone. Infido e vorace. Ma anche imprevedibile e regale. Queste figure rappresentano la metamorfosi da uomo a bestia; e da bestia ad abitatore del mondo che verrà. Antonio Abbatepaolo si ripresenta in città con uno dei suoi animali mitologici. Lo scultore pugliese appende nella prigione uno scheletro di Araba Fenice resa fosforescente da lampade di wood e realizzata con il legno impiegato per costruire l’anima delle navi. Questo animale simboleggia l’eternità dello spirito con tutte le morti e le rinascite che l’uomo supera durante la propria esistenza. Ecco perché l’Araba Fenice rinasce di continuo dalle proprie ceneri. A chiudere l’esposizione nella saletta luminosa in fondo ecco i tre dipinti-scultura di Mario Paschetta. Nascosti tra le pieghe corrugate di questa pittura materica che mescola oggetti di recupero, stoffe e pigmenti, appaiano coccodrillibrontosaurileoni. Mimetizzati nel percorso naturale che li ospita, studiano dalla tela il visitatore e, attenzione, potrebbero persino scendere dal recinto del quadro e venirci incontro.


Anna Caterina Bellati

Isola d’Oro, Venezia, Estate 2016